Il “piccolo Putin”: storia di un sindaco siciliano che governa da 20 anni e di un giornalista polentone che lo ha incastrato
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San Vito Lo Capo in Sicilia è un isola dentro l’isola, una sola strada per arrivare e la stessa per andarsene. Mezzo mondo passa da qui: turisti, gente del cinema, scrittori e vipponi americani con i loro yacht inaccessibili.
Quando passavo le estati qui da bambino si giocava a pallone per strada, ora se qualcuno ci prova come minimo lo arrestano. Bei tempi perché semplicemente tutti, grandi e piccoli, avevamo più libertà e non c’erano ancora i selfie a farci sentire in contatto col mondo, la droga eravamo noi stessi (cit. @sciandivasci) e non qualche diabolico algoritmo.
Come tutti i paesi San vito ha il suo presepe umano, misero e luminoso, triste e spassoso, con le sue leggende, i pettegolezzi e le “inciurie” ( leggasi soprannomi). Una volta c’era un vecchietto chiamato “riri chi musche”, cioè ride con le mosche, uno sempre allegro. Oggi c’è Pino detto “u mostru” che tutto è tranne mostro perché è sempre gentile, affettuoso e generoso. Ma da quando aveva 12 anni è alto 1.85 e spesso come una nave da crociera: per farci ridere da bambini ci acchiappava in tre quattro, noi piccoletti, e ci portava in giro per la strada come una giostra umana facendoci morire di gioia e risate. Insomma, Pino è affetto da gigantismo, nel cuore e nel corpo e se passate da qui chiedete di lui perché cucina la pizza più buona del mondo e vi porta in giro sulla sua barca che ovviamente si chiama “u mostru”.
Oggi a San Vito si vota per il sindaco. Carica che per ben tre volte, negli ultimi 25 anni, è stata ricoperta da una stessa persona, tal Giuseppe Peraino.
Anche lui ovviamente ha un soprannome, “chiattidu”, termine dialettale che ha un duplice significato, piattola oppure chiodi da calzolaio.
“L’inciuria” deriva dalla professione paterna che era appunto quella del calzolaio.
Va detto però che anche il primo significato di “chiattidu” potrebbe attagliarsi al personaggio che ha una simpatia assai simile a quella dell’animaletto di cui sopra.
Narra la leggenda di paese che in passato la sua anziana maestra delle elementari sia stata costretta a fare un’infinita anticamera per poterlo incontrare e prima di perdere la pazienza avrebbe fatto presente che il signor Sindaco la conosceva bene. Al suo rifiuto di darle udienza l’arzilla nonnina avrebbe scavalcato personale e protocollo assestandogli un severo quanto educativo schiaffone.
Il tipo è fatto così: ad un commerciante in difficoltà che minacciava atti inconsulti in Municipio “chiattidu” ha urlato “io sono il sindaco, le ordino di andare via”. Muscolare, manco fossimo a Baltimora con buona pace della leggendaria disponibilità siciliana. Nella sua stanza non si entra con i cellulari mentre negli uffici del comune i dipendenti hanno le telecamere accese sulle loro scrivanie, un sindaco da grande fratello. Perché il controllo per lui è prioritario: ci sono sanvitesi che si sono visti arrivare in casa o in negozio “garbate proteste” per un “mi piace” su Facebook a chi osava contraddire l’illuminata guida politica del Nostro.
A Macari, una delle due frazioni del comune, lo chiamano “il piccolo Putin”. Da sempre il Sindaco detesta Macari e ne viene ricompensato affettuosamente con un consenso che sorpassa di poco quello di un generale russo in Ucraina.
Nelle settimane di questa campagna elettorale ha sorpreso tutti: 35 mila euro per una festa sulle tradizioni contadine, una rotonda nuova per la modica somma di 60mila, quattro, dicasi quattro, cartelloni stradali turistici per quasi 20 mila euro. E come non citare la realizzazione di un virtual tour delle bellezze locali? Tutto molto bello, se non fosse che: il depuratore non funziona, l’acqua corrente è un miraggio, non esiste uno straccio di prevenzione degli incendi né per il dissesto idrogeologico, le strade sono dissestate (tranne quella dove il nostro eroe ha un albergo), mentre la famosa spiaggia, nulla da invidiare alle Maldive, sta scomparendo. Però nell’elenco delle urgenze il campo di padel ha priorità massima, rispetto a tutto il resto. Un chiaro esempio di come la democrazia, cosa meravigliosa, se la passa male, a volte come qui malissimo.
Insomma, siamo alle solite: forma contro sostanza.
A Macari vive un maestro di giornalismo, si chiama Chicco Fumagalli e come si capisce dal nome non è proprio autoctono: si è trasferito qui da Merate provincia di Lecco, un polentone doc. Chicco nella vita ha fatto due cose: il commercialista e il giornalista. La sua intelligenza è inversamente proporzionale al suo peso che è quello di una farfalla ma con il toscano sempre in bocca. Tifa Juve ma è tollerante, casa sua è una sorta di curva aperta dove dalla domenica al sabato tutti i tifosi di qualsiasi squadra sono ben accetti e lui mette a disposizione tv, casa e frigorifero sempre pieno.
Chicco nella sua pagina Facebook racconta tutto quello che succede da queste parti, pubblica foto meravigliose e mette a nudo le ipocrisie del presepe sanvitese. Legge astrusi atti amministrativi e trova l’inganno (se c’è), per lui i bilanci, le visure e simili diavolerie non hanno segreti.
Scavando scavando il “picciotto” adottivo Fumagalli, che io ho soprannominato “cadrega”, viene a conoscenza di ben tre sentenze che riguardano una brutta storia, odiosa e assurda.
Ve la faccio breve: il simpaticissimo “chiattidu” è entrato in possesso di un appartamento in paese con un testamento falso che lui stesso ha “vidimato” come pubblico ufficiale mentre era sindaco. E tra una sentenza e un’altra, che lo ha visto sempre soccombere, ha pure messo in piedi una compravendita con una società usata come scatola cinese.
Questa storia la conosco bene, fui il primo a raccontarla ad una collega di Repubblica, mettendoci la faccia, anni fa. Ma non successe nulla.
Chicco invece l’ha fatta deflagrare montando un’inchiesta di oltre 20 puntate degne di un Pulitzer. Qui trovate tutto: https://www.facebook.com/chicco.fumagalli.56
Ha subito stupide angherie e qualche velata, ma non troppo, minaccia. Ma lui, mezza testa alpina e mezza terrona, beatamente se ne fotte.
Quello che gli fa male è sentire la gente che dice, “ma quello è un fatto privato”. Con questo metro di giudizio tutto allora è un fatto privato, un qualsiasi crimine sarebbe un fatto privato tra vittima e colpevole.
È un tipico ragionamento che promana dalla mentalità mafiosa che è molto più difficile scalfire della stessa organizzazione. Come quelli che dicono, “a me Salvatore Riina non ha fatto niente, sono fatti loro”.
I padri del Diritto si dovrebbero sollevare dalle tombe e prendere a calci questa gente.
Volete sapere la fine di questa storia?
Due giorni fa il signor Sindaco nel comizio di chiusura ha ammesso tutto aggiungendo che il reato, che c’è stato senza alcun dubbio, è stato in realtà un atto giusto perché l’immobile estorto con il falso testamento era stato donato dal genitore e che lui voleva recuperarlo ad ogni costo.
La notizia allora è doppia: un ladro conclamato si candida a sindaco e parte del mio paese pensa pure di votarlo. E che la sentenza di colpevolezza non è, misteriosamente, transitata come richiesto dai giudici alla Procura della Repubblica. Perché fosse stato così il signor Giuseppe Peraino, detto chiattidu, sarebbe stato condannato anche in sede penale e non avrebbe potuto candidarsi.
Questo fallimento della giustizia è molto molto più pericoloso di qualsiasi grande trama mafiosa perché instilla nei semplici cittadini una convinzione immediata e brutale, che il crimine paga e che non serve a niente ricordare Falcone e Borsellino se poi le cose piccole, le prepotenze e i reati di un piccolo rancoroso ras di paese non vengono risolte con gli strumenti della legge.
Intanto mentre vi scrivo a San Vito lo Capo in queste ore si vota e la scelta è: con il piccolo Putin, ladro conclamato, o contro di lui.
Per batterlo c’è stato un accordo alla luce del sole, da destra a sinistra, e così strane e meravigliose scene si vedono in giro: candidati e iscritti del Pd e di Fratelli d’Italia che si danno di gomito, si prendono in giro e vanno porta per porta.
Chicco prova a sentire l’aria che tira e si schermisce quando qualcuno lo avvicina e si complimenta con lui. Mi dice solo una cosa, “amo questa terra più di molti di voi e questa cosa mi fa davvero arrabbiare”.
Pino controlla che la pasta della pizza lieviti al punto giusto e oggi è andato presto al seggio: chissà come ha fatto a tenere tra quelle manone la matita e la scheda ma sono sicuro che ha votato col cuore.
So di alcuni che per nulla devoti sono entrati in chiesa per rivolgersi direttamente a S.Vito. “Liberaci Santuzzu mio, liberaci”, hanno invocato e poi sono andati a votare. A volte i miracoli, santi o profani, avvengono. Basta farsi trovare pronti. In attesa che la grazia arrivi.